Partire è un verbo carico di curiosità, aspettative, per qualcuno anche di speranza. Per noi, il metterci in viaggio con il programma Charity@HOME promosso dal CESI ha significato assecondare l’urgenza impellente di farci attraversare e contaminare dall’incontro significativo con altre storie di vita, di prendere consapevolezza dei nostri limiti e spronarci a superarli, di rinnovarci negli sguardi, nelle prospettive e nelle radici di senso che sostengono il nostro agire nella vita e nella nostra professione.
Sono le 15.30 di una domenica di agosto molto afosa e per niente ventilata quando atterriamo all’aeroporto di Lamezia Terme. Con i vestiti appiccicati alla pelle raggiungiamo Giuliana, responsabile della Cooperativa Il Segno di Fuscaldo (CS), presso cui avremmo svolto la nostra esperienza di volontariato per le tre settimane successive. L’eccitazione e la contentezza nei nostri occhi lasciano presto spazio a una sensazione di amarezza alla vista e ai racconti di un territorio troppo poco valorizzato e segnato dall’indifferenza di quanti avrebbero il dovere di tutelarlo. I fuochi e le nuvole di fumo ci accompagnano per tutti i 71 km della statale che percorriamo per raggiungere una ex scuola elementare adibita a centro di aggregazione giovanile, dove avremmo soggiornato. Iniziamo ad accorgerci di quante cose diamo per scontato nella nostra vita e a cui non diamo il valore che meriterebbero: la carenza di acqua in alcune fasce orarie, il mancato ritiro dei rifiuti indifferenziati, l’assenza di una connessione internet stabile… Alle problematiche materiali si sommano dinamiche sottili che celano rapporti di potere ed interessi privati dove il business dei Canadair è, per noi, il solo fenomeno evidente.
Eppure, c’è anche chi, in un territorio così ricco di contraddizioni, ha trovato il coraggio di non arrendersi alla comoda scusa del “si è sempre fatto così” ma di investire e, ancora di più, fare dello scambio tra Nord e Sud il cuore della propria azione imprenditoriale. È così che nasce la scommessa di Green Hub, un progetto di agricoltura sociale e turismo solidale a cui abbiamo preso parte, promosso da Il Segno con l’Associazione di volontariato Go’El di Fuscaldo in collaborazione con l’Associazione Drum Bun e la Cooperativa Nazareth di Cremona.
Il nostro ruolo consisteva nell’affiancare i gruppi dei ragazzi che avrebbero svolto insieme a noi l’esperienza di servizio nelle attività di raccolta degli ortaggi nei campi, trasformazione agroalimentare dei prodotti presso il laboratorio solidale, manutenzione del centro, gestione quotidiana di preparazione dei pasti, pulizia delle parti comuni e animazione durante i momenti di svago.
Non solo, abbiamo avuto l’opportunità di esplorare il territorio ed apprezzarne la vasta geografia con la sua varietà naturalistica e la ricchezza delle sorgenti; visitare alcuni dei luoghi simbolo della regione come la Cattolica di Stilo (RC) o il Monastero di S.Giovanni Theristis a Bivongi (VV); ascoltare la testimonianza forte di persone che hanno ostinatamente cercato la verità e tuttora, non si arrendono al silenzio e all’ingiustizia, e, infine, riflettere con l’accademico Giorgio Marcello dell’Università della Calabria su dei fenomeni in atto come la migrazione dei giovani che, non intravedendo opportunità di crescita e di carriera, decidono di lasciare il proprio paese di origine, interrogandoci sulle motivazioni e sulle possibilità che siano proprio i vuoti creati a rigenerare occasioni feconde di sviluppo.
Abbiamo condiviso un tempo significativo dapprima con il gruppo giovani dell’Oratorio San Francesco di Cremona e, poi, con i due gruppi di ragazzi stranieri non accompagnati del Centro Giona.
Protagoniste di queste settimane sono state: la capacità di soffermarsi sulle persone, di accorgersi dell’altro e mettersi in ascolto, di saperle coinvolgere con sensibilità, di sforzarsi di comunicare, nel senso etimologico del termine, ovvero, quello di mettere in comune, condividere.
Ci siamo allenate quotidianamente nell’esercizio di guardare con gli occhi dell’amore, principio conoscitivo di ogni relazione e abbiamo imparato che qualsiasi esperienza relazionale richiede a quanti la vivono di alimentarla con le proprie specificità e non stare ai margini perché la nostra identità si forgia in relazione all’altro. Il prendersi cura è passato dal desiderio reciproco di raccontarsi non solo a parole ma offrendo all’altro l’opportunità di abbracciare le proprie tradizioni, origini, differenze culturali, la propria storia, condividendo piatti tipici, canzoni e momenti anche più spirituali di preghiera. Impossibile dimenticare quando i ragazzi del centro Giona, in larga parte di provenienza egiziana, ci hanno preparato il Koshari e la Kasba, piatti tipici della cultura araba, o ancora quando hanno scritto e recitato una poesia per le donne, e, in seguito, cantato per noi la canzone “Ana Mosammem” di Bahaa Sultan, un famoso cantante egiziano e ci hanno donato una rosa – il loro modo per dirci grazie di non esserci arrese alle spine ma di aver accolto la fragilità e la bellezza che celano tra i petali. Ci hanno raccontato la durezza del viaggio che hanno affrontato per arrivare in Italia, fatto di passi, molti passi, a volte per i più fortunati di voli, ma anche di botte, detenzioni, violenze da parte di alcune squadre di polizia di frontiera, senza cibo solo un po’ d’acqua e tanto coraggio e determinazione di chi ha un sogno e vuole difenderlo a tutti i costi per rendere la propria famiglia oltre confine orgogliosa.
L’accoglienza di cui noi stesse eravamo state omaggiate da chi ci aveva ospitato, veniva rimessa in circolo nei confronti dei nuovi arrivati che si alternavano di settimana in settimana, e a noi ritornava da parte di ogni gruppo attento a coinvolgerci nelle decisioni e nei momenti di attività e confronto per farci sentire davvero incluse!
In questo vortice ad alta intensità, di cui queste parole non possono che restituire una debole testimonianza di tutta la pienezza vissuta, si staglia forte il senso della scelta di intraprendere un’esperienza di servizio a 25 anni. Mettersi in movimento e uscire dalla propria zona di comfort aiuta ad abbattere gli stereotipi e le costruzioni ideologiche che da sempre rinforzano la vecchia dicotomia tra nord e sud nel nostro Paese, come in Europa e nel mondo. Saper accogliere la bellezza della diversità aprendosi all’incontro vero con l’altro è letteralmente nutrire la propria anima. L’incontro con l’altro ti vivifica. “Io divento io dicendo tu” per usare le parole di Buber. Quando uno ha fame di esperienze significative, che decide di assecondare mettendosi in ricerca, è nella reciprocità disinteressata che può trovare quel vento in grado di gonfiare le vele della propria vita che ne rinnova la vocazione e la direzione. Così ci sentiamo noi in questo momento. Così ci auguriamo si possano sentire altrettanti giovani motivati da queste parole a cogliere il valore del volontariato e sperimentare la pienezza che nasce dalla gratuità del donarsi agli altri.